di Marco Boato – A ventiquattro anni dalla sua morte volontaria (3 luglio 1995), la figura di Alexander Langer è più attuale che mai. Per certi aspetti, la sua figura è più conosciuta e “riconosciuta” oggi che non quando era in vita, una vita durante la quale ha dovuto subire anche molte amarezze e misconoscimenti. Per questo parlo di lui come “testimone” (oltre che “protagonista”), ma anche come “profeta” del nostro tempo, sotto un duplice profilo. Un “profeta” a volte contestato e disconosciuto o ignorato, finché è stato in vita, ma un “profeta” che su molte questioni ha visto più lontano dei suoi contemporanei, ha anticipato da autentico precursore i tempi in modo lungimirante, pur non potendo vedere in vita la “terra promessa”. E basterebbe ricordare come tematiche per lui essenziali – quali la “conversione ecologica” e la “convivenza inter-etnica”– fossero ignorate o disconosciute durante la sua vita, mentre negli anni più recenti sono diventate ricorrenti, la prima nel dibattito ecologico e la seconda nelle riflessioni pubbliche sulle relazioni inter-etniche non solo nel suo Alto Adige/Südtirol, ma anche in Bosnia e oggi in Ucraina, Afghanistan, Siria, Iraq, Libia, Israele e Palestina, e via purtroppo elencando, comprese molte realtà europee oggi attraversate da pulsioni razziste e xenofobe.
Langer è stato un protagonista fin da giovane, dapprima nel suo Sudtirolo e poi nella Firenze vivacissima degli anni ’60, fino a quel ’68 che lo ha visto laurearsi per la prima volta (in giurisprudenza), far parte della contestazione studentesca e poi anche della “contestazione ecclesiale” (in particolare all’Isolotto, ma anche in rapporto con don Lorenzo Milani nel 1967), per poi rientrare nella sua Bolzano, dove nel novembre ‘68 ha subito la sua prima denuncia per un volantino antimilitarista di dissenso sulle celebrazioni del cinquantenario della prima guerra mondiale. E nel luglio 1972 si è anche laureato nella ormai famosa facoltà di Sociologia di Trento, dove poi ha pure insegnato nella prima metà degli anni ’80.
Sabato 13 giugno 2015, parlando a migliaia di scout, papa Francesco ha ammonito: “Abbiate capacità di dialogo con la società, mi raccomando: capacità di dialogo! Fare ponti, fare ponti in questa società, dove c’è l’abitudine di fare muri: voi fate ponti per favore”. È esattamente quello che Langer ha fatto per tutta la vita e nel 1986, inviando a “Belfagor” una sua breve autobiografia (“Minima personalia”), ha scritto: “Sul mio ponte si transita in entrambe le direzioni, e sono contento di poter contribuire a far circolare idee e persone”. Per questo io stesso ho intitolato un mio libro su di lui “Alexander Langer. Costruttore di ponti” (La Scuola).
Mi sono chiesto molte volte come Langer avrebbe vissuto l’attuale pontificato di papa Francesco, tanto più che – per la prima volta nella storia – il papa ha dedicato nel giugno 2015 un’intera enciclica all’ecologia: “Laudato si’”, riecheggiando quel Francesco d’Assisi, a cui tante volte Langer si è ispirato, e riprendendo anche alcuni temi propriamente langeriani. Ancora verso la fine della sua giovane vita, nel 1994, Langer ha così intitolato un capitolo del suo “Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica”, forse il suo saggio più bello tra i moltissimi che ha scritto: “Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”. Adriano Sofri ha commentato: “Costruttore di ponti, ‘pontifex’: quale titolo più appropriato all’uomo di pace Alexander Langer?”.
Quando Langer è scomparso, l’allora arcivescovo (poi cardinale centenario, morto il 26 maggio 2016) Loris Capovilla ha scritto alla moglie Valeria: “Per chi lo ha amato, questa è l’ora del silenzio. Per chi dissentiva dalle sue scelte, è l’ora del discernimento. Per chi crede possibile muoversi verso una convivenza più umana, è l’ora della gratitudine. Alex ha studiato, operato, servito proprio per questo. Mi inchino dinanzi a lui. Chiedo a Dio di accoglierlo nella sua Casa e di collocarlo, a nostro conforto, come una stella nel firmamento. Alex appartiene alla schiera degli eletti che non muoiono. Sono certo di re-incontrarlo”.
Negli anni ’80 cominciano inoltre le riflessioni e proposte di Langer sulla “conversione ecologica”, anche con un rapporto di dialogo con Rudolf Bahro, un marxista “eretico” uscito dalla DDR ed entrato in relazione con i “Grünen” della Germania federale, e con le teorizzazioni sulla “società conviviale” del suo amico Ivan Illich.
Ecco come si autopresenta nella nota biografica finale del suo unico libro “Vie di pace/Frieden schließen” (1992) : “Nel movimento ecologista e pacifista Langer da tempo contribuisce allo sforzo di elaborare una prospettiva culturale e politica che consenta ai verdi di diventare portatori di una proposta globale; in quest’opera Langer partecipa ad un intenso dialogo di ricerca con la cultura della sinistra, dell’area radicale, dell’impegno cristiano e religioso, delle nuove spiritualità, di aree non-conformiste ed originali che oggi emergono a pieno campo, anche tra conservatori e a destra, e da movimenti non compresi nell’arco canonico della politica. Sostenitore del carattere trasversale ed innovativo del movimento verde”.
Ed ecco come presenta sinteticamente i suoi valori e obiettivi: “Langer crede poco nell’ecologia dei filtri e dei valori-limite (senza trascurare, tuttavia, la battaglia per gli uni e per gli altri) e si considera impegnato in favore di una conversione ecologica della società: preferire l’auto-limitazione cosciente, la valorizzazione della dimensione locale e comunitaria, la convivialità; non inquinare e realizzare condizioni di giustizia, di pace, di integrità della biosfera, piuttosto che inseguire rimedi, aggiustamenti e disinquinamenti sempre più sofisticati ed artificiali per tentare di correggere condizioni di vita sempre più ingiuste, degradate, violente e povere di senso; l’ecologia ha bisogno non solo di provvedimenti e riforme, ma anche di una dimensione spirituale e di valori profondi”.
Nella sua veste di parlamentare europeo, Langer intensifica il suo rapporto con la ex-Jugoslavia, attraverso la “Carovana europea di pace” (settembre 1991) ed il “Forum di Verona per la pace e la riconciliazione” (1992). Scoppiata la guerra in Bosnia, mantiene rapporti molto stretti, in particolare con la città inter-etnica di Tuzla e col suo sindaco Selim Beslagic, che, insieme a Renzo Imbeni, accompagna a Strasburgo, Bolzano e Bologna. Il 26 giugno 1995 (pochi giorni prima della sua morte volontaria) si reca con una delegazione europea a Cannes, dove si svolge il vertice dei capi di Stato e di governo europei. Presenta il drammatico appello “L’Europa nasce o muore a Sarajevo” e, nell’incontro col neo-eletto presidente francese Jacques Chirac, chiede esplicitamente un intervento di “polizia internazionale” in Bosnia, dove l’assedio di Sarajevo dura ormai da oltre tre anni. Chirac gli risponde negativamente con una sorta di elucubrazione “pacifista”…
Uomo “senza frontiere” (“ohne Grenzen”) e uomo del dialogo Alexander Langer lo fu con tutti, anche nei confronti della sinistra post-comunista, quando nel 1994 scrive una lettera aperta al Pds, nella quale si legge una analisi, che trova ancor oggi una straordinaria attualità, a distanza di 24 anni: “Una riedizione della coalizione progressista o di altri consimili cartelli non riuscirà a convincere la maggioranza degli italiani a conferirle un incarico di governo. Ci vuole una formazione meno partitica, meno ideologica, meno verticistica e meno targata ‘di sinistra’. Ciò non significa che bisogna correre dietro ai valori ed alle finzioni della maggioranza berlusconiana, anzi. Occorre un forte progetto etico, politico e culturale, senza integralismi ed egemonie, con la costruzione di un programma e di una leadership a partire dal territorio e dai cittadini impegnati, non dai salotti televisivi o dalle stanze dei partiti. Bisogna far intravvedere l’alternativa di una società più equa e più sobria, compatibile con i limiti della biosfera e con la giustizia, anche tra i popoli”.
Negli anni ’80 e ’90 (fino alla morte) Alexander Langer ha saputo dialogare e interagire inoltre con tutte le principali associazioni ambientaliste ed ecologiste, italiane ed internazionali. Ebbe un ruolo importante al “Summit della Terra”, la Conferenza mondiale sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992, stringendo rapporti con molte organizzazioni internazionali ecologiste e del commercio equo e solidale. Nelle ultime settimane della sua vita si era particolarmente impegnato per organizzare l’iniziativa “Euromediterranea” a Palermo, in alternativa all’iniziativa europea “ufficiale” di Barcellona, che riteneva radicalmente insufficiente (e che tale si dimostrò). Anche su questo terreno, rispetto al dialogo con tutti i popoli del Mediterraneo, egli si era dimostrato lungimirante e “profetico”, tanto più se si riflette sulla realtà attuale, a 23 anni di distanza.
Vi sono alcuni temi ricorrenti negli scritti e discorsi degli ultimi anni: “Solve et coagula”, una formula latina dell’alchimia medioevale, con la quale cercava di impedire le sclerotizzazioni partitiche e invitava a rendere “bio-degradabili” anche i movimenti e le forze politiche a cui lui stesso apparteneva; “lentius, profundius, suavius” (“più lentamente, più profondamente, più dolcemente”): era il motto che Langer proponeva in contrapposizione al motto olimpico “citius, altius, fortius” (“più veloce, più alto, più forte”), come paradigma per la conversione ecologica.
Se il decalogo sulla convivenza può essere considerato il suo capolavoro dal punto di vista “teorico”, c’è un altro suo testo di straordinaria bellezza, anche dal punto di vista letterario, che meriterebbe di comparire a pieno titolo nelle antologie scolastiche, la lettera indirizzata al “Caro San Cristoforo”, un testo del 1990 dove già appare un interrogativo radicale: “Perché mi rivolgo a te alle soglie dell’anno 2000? Perché penso che oggi in molti siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa essere una parabola di quella che sta dinnanzi a noi”.
Questo interrogativo diventa drammatico quando il 21 ottobre 1992, su “il Manifesto”, conclude con queste parole il suo articolo “Addio, Petra Kelly”, dedicato alla tragica morte della leader verde tedesca: “Forse è troppo arduo essere individualmente degli ‘Hoffnungsträger’, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere”. Dopo la sua morte, in molti hanno condiviso questa riflessione di Adriano Sofri: “Le pagine di Alexander in memoria di Petra Kelly ci sembrano oggi la migliore descrizione della sua propria disperazione, e confermano come il suo gesto, così inaspettatamente sconvolgente, venisse da lontano”