di Erika Francescon – Dopo aver esultato, lo ammetto, troppo presto, sulla decisione del Ministero dell’Istruzione di introdurre l’educazione civica ai cambiamenti climatici (Italia prima su tutti al mondo), arriva la batosta.
E’ infatti stato reso pubblico che il programma di formazione dei docenti in merito sarà a carico nientepopodimeno che di ENI, tra le maggiori società internazionali della produzione di petrolio e gas, attraverso un accordo che la multinazionale petrolifera ha stilato con l’Associazione Nazionale di presidi (ANP) lo scorso 21 gennaio.
L’iniziativa è già partita in alcune città (Roma, Milano, Bologna) e proseguirà nel prossimo anno scolastico a Cuneo, Palermo, Napoli, Ancona e Bari tra altre. I seminari riguarderanno i seguenti quattro macrotemi: il cambiamento climatico, l’efficienza energetica, i rifiuti e le bonifiche ambientali.
Sembra un paradosso, e definitivamente lo è. I concetti chiave degli accordi di Parigi, degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e di tutte le (scarse) politiche di sostenibilità si basano infatti sull’imperiosa necessità di descarbonizzare l’economia, ovvero dipendere sempre meno dai combustibili fossili. Quindi, è molto corto il passo del ragionamento: come possiamo far formare i nostri docenti sull’importanza della descarbonizzazione, e che interpretazioni dei dati si farebbero, se chi insegna primeggia a livello mondiale per esplorazioni e trivellazioni di fonti fossili in 67 paesi del mondo, e il suo core business è proprio il combustibile fossile?
Sarebbe come chiedere a un’azienda automotrice di insegnare l’importanza di non comprare macchine.
Non solo, vediamo infatti una serie di dati sul colosso che fanno veramente riflettere sull’idoneità dell’azienda per formare i nostri docenti sulle tematiche di sostenibilità ed educazione civica.
Innanzitutto, in un ambito delicato come la matrice energetica e come modificarla, ENI investe meno del 2% del proprio fatturato in progetti di sviluppo di energie rinnovabili.
Inoltre, la multinazionale ha nel suo bagaglio vari problemi a livello legale e pubblico.
La Corte per i Diritti Umani delle Filippine ha presentato alla COP25 un giudizio considerato come il primo grande passo giudiziario verso i casi di ingiustizia climatica, in cui prende in causa le 50 multinazionali più inquinanti al mondo in quanto a produzione di gas serra. Lo studio da loro presentato dimostra che ENI è la 12esima multinazionale più inquinante, e la prima in assoluto in Italia per produzione di gas serra.
Si trova inoltre sotto processo (insieme a Shell) per il caso OPL 245, accusati di aver pagato al governo nigeriano una mega-tangente da più di 1 miliardo di dollari destinata a corrompere funzionari nigeriani per l’acquisizione del blocco petrolifero offshore nigeriano OPL 245. In questo momento sono stati rinviati a giudizio, e nei prossimi mesi il processo sarà alle battute finali.
Nell’ambito del marketing, continuano i fatti; ENI è stata infatti da pochi giorni condannata e multata di 5 milioni di Euro (bazzeccole per una firma che fattura 77 miliardi l’anno) dall’Antitrust per aver realizzato una campagna pubblicitaria sul Diesel+, un prodotto ottenuto miscelando un 85% di gasolio minerale con un 15% di biodiesel (prodotto con l’olio di palma), combustibile di origine vegetale. Lo vendevano come “green”, perché si affermava di ridurre i consumi di un 4% e le emissioni di gas di un 40%, ma di fatto l’Antitrust ha definito che non ha miglioramenti fondati. «L’ingannevolezza dei messaggi derivava in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato EniDiesel+ e la sua componente biodiesel Hvo, chiamata da Eni “Green Diesel”, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati», afferma l’ Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm). Le polemiche di “greenwashing” ovviamente non si sono fatte aspettare.
Ognuno tragga le proprie conclusioni. Le mie sono in linea con quelle delle voci che si stanno alzando contro questa decisione, come Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club, Fridays for Future, Teachers for Future, i giuristi di “Legalità per il clima”. Questi ultimi due gruppi infatti stanno predisponendo una diffida all’ENI che sarà indirizzata al Ministero dell’Istruzione e all’ANP ed è ispirata ai criteri e principi della Convenzione di Aahrus.
Semplicemente, è paradossale e pericoloso che una multinazionale che fonda la sua immensa fortuna sullo sfruttamento dei carburanti fossili, e quindi ha responsabilità non irrilevanti su almeno due dei temi di insegnamento (cambiamenti climatici e territori da bonificare), sia chiamata a svolgere il ruolo fondamentale del percorso formativo che pretende cambiare la base stessa dei suoi profitti. Senza pensare alla mancanza del punto di vista degli interessi collettivi.