Donne, più difficile chiedere aiuto durante il lockdown

I dati del Centro antiviolenza Petra: sono 89 coloro che hanno chiesto aiuto nei due mesi tra il 23 febbraio e il 23 aprile 2020, in leggero aumento. Diminuite le richieste per i percorsi di emancipazione

di Annalisa Mancini – Durante gli ultimi due mesi di restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, che hanno imposto di rimanere a casa, il Centro Antiviolenza Petra del Comune di Verona ha registrato un leggero incremento delle richieste di aiuto da parte di donne. Sono infatti 89 coloro che si sono rivolte al Centro Antiviolenza del Comune di Verona nei due mesi tra il 23 febbraio e il 23 aprile 2020. Diminuite invece le richieste per i percorsi di emancipazione, mentre i colloqui telefonici di questi ultimi mesi hanno avuto una durata maggiore rispetto alla media del 2019.

L’avvocato Francesca Briani – assessora con delega alla Cultura, Turismo, Politiche giovanili e Pari opportunità del Comune di Verona –interpreta il dato sulla base dell’esperienza delle operatrici di Petra: «L’anomalia della compresenza forzata in casa con il maltrattante e con i figli potrebbe aver influito sulla scelta delle donne di non proseguire in un percorso di emancipazione. Chi maltratta usa i figli per esercitare controllo sulla donna». Le operatrici confermano la presenza dei figli durante le telefonate, elemento che potrebbe aver influito negativamente sulla qualità del racconto e sulla decisione di proseguire nel percorso d’aiuto.

Francesca Briani (foto Verona In)

Francesca Briani (foto Verona In)

«La costante presenza dei bambini impedisce alle donne una libertà di dialogo con l’operatrice. Inoltre la gran parte delle telefonate viene interrotta dalla donna stessa perché avviene in stato di costante allerta», raccontano le operatrici del Centro Antiviolenza Petra.

Le donne che nel 2020 sono riuscite ad iniziare un percorso di aiuto individualizzato presentano tutte un indice di valutazione del rischio più elevato rispetto alla casistica del 2019, osservazione che fa ritenere alle operatrici di Petra che «tutte le donne che invece non sono riuscite a raggiungerci abbiano pure loro un grado più elevato di esposizione al rischio». La valutazione considera tre fattori: la limitazione degli spostamenti individuali, la maggiore presenza del maltrattante in casa e la presenza dei figli.

Anche a Verona la violenza non è solo frutto di disagio economico né di situazioni culturalmente depresse bensì un fenomeno trasversale, non associabile a una categoria sociale. «Spesso sono donne che si colpevolizzano e il ruolo delle operatrici è quella di renderle più sicure e consapevoli», ricorda Briani.

Un percorso in cui tutte le figure della società possono avere un ruolo: medici di base e farmacisti sono, secondo Briani, anelli fondamentali che potrebbero riconoscere situazioni violente e «aiutare la donna con un’informazione, un volantino… Per questo intendo riproporre il corso di formazione sulla violenza di genere a quelle figure professionali così importanti sul territorio».

Alle donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza è garantito l’anonimato e l’accoglienza professionale di operatrici preparate. Il numero d’emergenza contro violenza e stalking è il 1522, dove è sempre attiva anche una chat.

Tratto da Verona-In

 

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