L’emergenza legata al Covid19 ha portato alla luce molte difficoltà pregresse legate a svariati comparti lavorativi e produttivi; il settore simbolo delle problematiche eternamente ignorate, rimandate, inascoltate è senza dubbio quello dello spettacolo, che mai come in questi giorni si sta mostrando in tutte le sue debolezze, falle interne, contraddizioni intrinseche. Un settore su cui cui da sempre si investe troppo poco, sebbene dia lavoro a circa 135mila persone solo in Veneto, producendo il 5,3% del PIL regionale.
Gli artisti che sono scesi in piazza in questi giorni, oltre ad avere una dignità di lavoratori da tutelare, sono preoccupati che questa emergenza sanitaria rappresenti il colpo di grazia per gran parte del settore, e che le misure messe in campo per arginare la crisi non bastino ad affrontare una ripartenza, essendo le realtà coinvolte (dalle fondazioni lirico – sinfoniche agli artisti con partita IVA) così diversificate in merito a regimi contributivi, retributivi, modalità di compenso, e via dicendo. La questione era in sospeso da troppo tempo; il Covid19 l’ha solo portata alla luce in tutta la sua interezza, aggravandola ulteriormente.
L’emergenza sanitaria è stata solo la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma le cause del malcontento che hanno portato migliaia di artisti a scendere nelle piazze di tutta Italia in questi giorni (la manifestazione a Venezia si è tenuta il 30 ottobre), vanno cercate in tempi ben più remoti.
Vi è a monte una mancata educazione alla cultura e alla bellezza, che riguarda gran parte della popolazione, a prescindere da età, grado di istruzione, tenore di vita, ma che interessa in maniera preoccupante soprattutto le giovani generazioni. Chiedete al primo giovane che incontrate per strada (magari anche ben istruito) da che opera è tratta l’aria Nessun dorma, o magari il nome dell’autore del Va‘ pensiero (tanto per limitarsi all’ambito musicale, parlando solo di semplici temi d’opera nazional popolari) e nel 90% vi ritroverete a ridere delle risposte, sempre che vi vengano date. Provare per credere. Ciò è sintomo di una enorme lacuna nella storia del sistema educativo del nostro paese, e, cosa ancor più preoccupante, è parimenti sintomo che poco o niente è stato fatto negli ultimi anni, per appianare tale lacuna a favore dei più giovani, nonostante l’enorme disponibilità di materiale artistico di tutti i tipi facilmente reperibile oggi in rete.
Pur avendone i mezzi, ad oggi non si è saputo mantenere accesa la scintilla della curiosità, il vitale bisogno di bellezza, l’impalpabile circuito energetico che lega il pubblico agli artisti che sono sul palcoscenico, e che è l’unico ingrediente che rende unico, irripetibile, indispensabile uno spettacolo dal vivo e che, è bene ripeterlo, nessuno spettacolo in streaming potrà mai sostituire. Molte persone non sanno di avere bisogno dell’arte, semplicemente perché non conoscono ciò di cui si privano. E da qui hanno origine a cascata tutti gli altri mali che affliggono il settore artistico. L’arte rimane, paradossalmente, un’esperienza preclusa a molti. E tra quelli che invece ancora ne usufruiscono, troppi pensano che sia un passatempo, un diversivo, altri ancora la considerano un pezzo da museo, che però va ammirato e incensato, e mantenuto in qualche modo vivo, in quanto antico retaggio di benessere sociale, quasi che farsi vedere in un palchetto di primo ordine rappresenti ancora una questione di etichetta, di bon ton (basterebbe infatti interrogarsi sull’età media dei frequentanti i teatri e le sale da concerto per capire il perché di tale retaggio).
Se così non fosse, non ci ritroveremmo oggi a fare i conti con una società che ci considera poco più che dei saltimbanchi, degli intrattenitori che trovano nella loro disciplina artistica il trastullo per impiegare in qualche modo il loro tempo. Non ci troveremmo quotidianamente alle prese con persone che ti chiedono, dopo che gli hai risposto che fai l’attore/regista/costumista/scenografo/ballerino/musicista: “Sì, ma quindi, qual è il tuo vero lavoro?“. Questo è l’inequivocabile segno che, ai più, ancora oggi, quello dell’artista non è considerato un lavoro pari a tutti gli altri. In un paese come l’Italia, dire che ciò è grave, è un eufemismo. E comunque in effetti a volte, per necessità, gli artisti sono davvero costretti a trovarsi un altro lavoro.
Perchè fare l’artista, fra contratti fantasma, tutele molto spesso minime o inesistenti, retribuzioni che somigliano più a elemosine, pagamenti più consistenti che però non arrivano mai per tempo, è davvero una sfida contro la società. Ma dal momento che è la società stessa a considerarti un intrattenitore, che, in quanto tale, può essere tranquillamente messo da parte nei tempi difficili, come potrebbe essere diversamente da così? Poco importa se tu hai studiato ogni giorno per otto ore al giorno per venti anni della tua vita, se continui a studiare in ogni ritaglio di tempo, sempre, perché questo è quello che fa un artista, perché un artista non smette mai di imparare e di evolversi. Non esiste la considerazione per l’artista perché è andata perduta la considerazione per l’Arte, la vera Arte, quella che porta a interrogarsi incessantemente su tutto, a essere grati per ciò che abbiamo, a lavorare per cambiare ciò che non funziona, a coltivare la perseveranza, la costanza, l’impegno.
Ma evidentemente ciò non basta. Non basta, perché investire nell’arte significa investire nei valori citati poco sopra, e per farlo occorrono progettualità lunghe, ad ampio respiro, i cui risultati non possono essere tangibili dopo qualche mese. E i progetti lungimiranti e proiettati verso un benessere futuro, si sa, non sono esattamente il forte di una società dei consumi basata sulle spietate leggi del mercato, della produttività, del risultato immediato, dei beni materiali sopra ogni cosa.
E‘ il momento di riorganizzare il comparto artistico, ripensando in maniera ordinata e strutturata la distribuzione delle risorse, senza dimenticare mai che se si smette di investire nell’arte in tutte le sue forme, si recidono le radici della cultura e della coscienza di un popolo. Sarebbe bello anche per noi artisti, per una volta, poter affermare con orgoglio che sì, possiamo vivere del nostro lavoro.
Ilaria Torresan
Giovani Europeisti Verdi Treviso
Daniele Tiozzi e Elisa Casonato
Co-Portavoce Federazione dei Verdi Europa Verde Treviso