“Perché abolire il carcere” è un libro scritto da Livio Ferrari e Giuseppe Mosconi, edito da Apogeo.
La povertà, per chi è ristretto nelle carceri italiane, è l’elemento carat- terizzante della distanza che li separa dal resto della società, del di- sinteresse o peggio odio nei loro confronti da parte dei liberi che non hanno nessuna voglia di approfondire la questione. La prigione umi- lia, annulla, stigmatizza e impone il dolore, la sofferenza, è crudeltà, crea la mancanza di responsabilità verso il proprio comportamento e aumenta la pericolosità di tutti coloro che vi transitano, che diventano a loro volta moltiplicatori irreversibili e potenziali della violenza rice- vuta. Il carcere ha una funzione falsa e puramente ideologica, perché finge di controllare, evitare e prevenire i reati, mentre li produce e riproduce, con effetti e livelli di sofferenza ben peggiori della maggior parte dei reati perseguiti dai condannati, per i quali viola sistemati- camente i diritti fondamentali.
Il carcere evoca l’annientamento del “criminale” che spaventa e fa passare il messaggio che quelli in libertà possono essere innocenti, mentre quelli imprigionati sono certamente colpevoli. Questo vale soprattutto per gli extracomunitari e i poveri che sono i più arrestati e reclusi rispetto al resto della popolazione, al punto che produce nella gente la convinzione che sono coloro che commettono più crimini. Il carcere è considerato come un male ne- cessario, nella mancanza di coscienza e conoscenza in generale, senza alcuna consapevolezza che provoca più problemi di quanti ne risolve. Sembra non possa esserci alternativa ad esso, mentre è necessario pro- gettare la sua abolizione e sostituzione con forme diverse di gestione degli illeciti. L’abolizione della prigione non è un’utopia. Il carcere è barbarie, in quanto vendicativo ed incurante della reale esperienza delle persone, strumento dell’antica retorica del castigo. È necessario mettere in discussione la costruzione che il diritto penale produce de- gli atti illeciti, che sta a fondamento delle pene detentive, per operare un salto di paradigma, che conduca ad una conoscenza oggettiva dei fatti perseguiti e di chi li pone in essere, nell’ottica della reintegrazione e della ricostruzione dei legami sociali. Continuare a sostenere il siste- ma carcerario significa in fondo autorizzare la pratica della vendetta di Stato e della sua violenza, con l’imposizione del dolore e della soffe- renza ai ristretti. Non vi è alcun motivo di credere che lo spettro della prigione ridurrà la criminalità, è pertanto assurdo ritardare la ricerca di soluzioni di non carcere.
Livio Ferrari, giornalista, scrittore e cantautore, esperto di politiche peni- tenziarie, fondatore e direttore dal 1988 dell’Associazione di volontariato “Centro Francescano di Ascolto” di Rovigo, fondatore e portavoce del “Mo- vimento No Prison” dal 2019, direttore responsabile della rivista dei detenuti del carcere di Rovigo “Prospettiva Esse” dal 1997, autore di numerosi libri e di album musicali. È ideatore e regista dal 2006 dello spettacolo “Il carcere in piazza”.
Giuseppe Mosconi dal 1975 insegna sociologia penale all’Università di Pa- dova. Ha partecipato a numerose attività e a corsi relativi alla sociologia del- la devianza, diritto penale, carceri e controllo sociale. Ha pubblicato molti libri e numerosi articoli sulla sociologia legale, sociologia della devianza, carceri, prevenzione del crimine, sicurezza, timore del crimine, controllo sociale e diritto penale.