La 29ª Conferenza delle Parti (COP29) sul cambiamento climatico, svoltasi a Baku, ha segnato un altro capitolo controverso nella lotta globale contro il riscaldamento del pianeta. Nonostante l’annuncio di un ambizioso piano di finanziamento climatico, restano evidenti lacune nelle azioni per la mitigazione e nell’abbandono delle fonti fossili.
Vediamo punto per punto le principali questioni affrontate
Finanza climatica: un accordo storico, ma insufficiente
La decisione di stanziare 300 miliardi di dollari all’anno fino al 2035 per sostenere i Paesi vulnerabili rappresenta un passo avanti significativo. Tuttavia, questa cifra è solo una parziale risposta alle enormi esigenze di adattamento e mitigazione. Gli Stati più colpiti, che spesso sono i meno responsabili delle emissioni globali, necessitano di finanziamenti molto più consistenti e certi. È particolarmente preoccupante il ruolo della Cina, che continua a sfruttare il suo status di Paese in via di sviluppo per evitare obblighi di finanziamento, nonostante sia tra i maggiori emettitori globali.
Mitigazione: un’occasione mancata
Le discussioni sulla riduzione delle emissioni di gas serra si sono concluse con un nulla di fatto. L’assenza di un piano concreto per abbandonare le fonti fossili mette in serio pericolo l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C. Questo stallo evidenzia come gli interessi economici di breve termine prevalgano ancora sulla necessità di agire per il bene del pianeta e delle generazioni future.
Adattamento: progressi tecnici, ma con troppe incertezze
L’adozione di indicatori specifici per monitorare i progressi sull’adattamento ai cambiamenti climatici è un segnale positivo. Tuttavia, la mancanza di risorse adeguate e la scarsa integrazione nelle politiche nazionali rischiano di rendere queste misure inefficaci. Serve un approccio trasformativo che consideri l’adattamento non solo come una risposta agli impatti, ma come un’opportunità per costruire società più resilienti e sostenibili.
Mercati del carbonio: tra speranze e rischi
L’accordo sul commercio di crediti di carbonio apre nuove possibilità per la cooperazione internazionale, ma senza trasparenza e garanzie rischia di trasformarsi in un meccanismo di greenwashing. Il rischio è che i Paesi e le imprese sfruttino i mercati del carbonio per evitare impegni reali di riduzione delle emissioni, scaricandone i costi sulle comunità locali e sugli ecosistemi.
Giustizia climatica: il grande assente
Nonostante i proclami, la COP29 ha fatto pochi passi avanti per garantire una transizione equa. I programmi dedicati alla giustizia climatica e alla parità di genere sono stati rinviati, dimostrando una mancanza di priorità verso le comunità più vulnerabili. La crisi climatica non è solo una questione ambientale, ma anche sociale: ignorare questo aspetto significa perpetuare le disuguaglianze.
Biodiversità: un’azione frammentaria
Il legame tra crisi climatica e perdita di biodiversità è indiscutibile, ma la COP29 si è limitata a iniziative poco ambiziose. Il mancato avanzamento su questo fronte lascia irrisolto il problema di come integrare le politiche ambientali per affrontare queste emergenze interconnesse.
Guardando al futuro: la sfida della COP30
La prossima COP30, prevista a Belem, in Brasile, rappresenta un’occasione cruciale per invertire la rotta. Sarà necessario concentrare gli sforzi su:
– Un piano chiaro per la riduzione delle emissioni globali.
– Un meccanismo equo e trasparente per il finanziamento climatico.
– Un approccio integrato che metta al centro la giustizia climatica e la protezione della biodiversità.
L’urgenza non lascia spazio a ulteriori esitazioni. I leader globali devono abbandonare le divisioni e adottare una visione comune che metta la salvaguardia del pianeta al di sopra di ogni interesse nazionale. L’unico futuro possibile è quello di una società globale più sostenibile, equa e resiliente per una vera giustizia climatica.