di Gianfranco Bettin – Sia detto tra parentesi, e in vista delle elezioni del prossimo anno, se la sinistra vuol provare a riprendere la città, oltre a rivendicare alcune eccellenze della propria esperienza trascorsa, che l’attuale giunta di destra sta dissolvendo, deve ripartire da una lettura critica dei propri anni di governo, compresa, appunto, la sottovalutazione della questione grandi navi. Che è diventata evidente all’inizio del nuovo secolo, denunciata dai “soliti” ambientalisti, i comitati e Italia Nostra in primis, ogni tanto riecheggiando in comune ma rimasta marginale nell’attenzione fino a quando non è cresciuta la mobilitazione, incrociatasi con quella contro il Mose e contro la monocultura turistica che stravolge la città storica (ma ormai anche Mestre).
A quel punto e dopo la costituzione di un attivissimo Comitato «No Grandi Navi – Laguna Bene Comune» anche il consiglio comunale ha preso una posizione più adeguata, nel 2012, nell’ambito del nuovo Piano di Assetto del Territorio (Pat), proponendo, con l’art. 35 bis, l’estromissione delle navi «incompatibili con la città storica e con il contesto lagunare». E’ molto importante quest’ultimo riferimento, perché ha a che fare con le alternative alla situazione attuale attorno alle quali si gioca un po’ troppo con le parole. Tutti sono concordi nel dire che le mega navi non devono passare «per san Marco e la Giudecca». Ma, e il «contesto lagunare»
Le mega navi non sono pericolose «solo» per le emissioni nell’aria (pari a migliaia di auto ognuna), i rumori, il guasto «estetico», eccetera, e per il rischio di incidenti come quello di domenica. Il loro impatto strutturale, radicale, va ben oltre: riguarda il moto ondoso profondo, le masse d’acqua che spingono ai lati e che vanno a confliggere con le basi stesse della città e a modificare la morfologia dei fondali. E riguarda anche, nel caso di nuovi percorsi d’accesso, la necessità di approfondire i canali. Già bocciata l’ipotesi insensata di scavare (quasi) ex novo una via d’acqua per collegare il canale Malamocco – Marghera (il famigerato «canale dei petroli») con la Stazione Marittima, l’eventualità di nuovi scali si ripropone con l’ipotesi di spostare parte delle navi, le maggiori, a Porto Marghera (scavando, oltre a quello dei «petroli», il vecchio canale Vittorio Emanuele per portare navi un po’ minori alla Marittima odierna e i canali di evoluzione per quelle destinate a Marghera). E’ un’idea di Comune e Regione, fatta propria nel 2017 dal Comitatone interministeriale, ma, a quanto pare, osteggiata dall’attuale ministro alle infrastrutture Toninelli.
E’, in effetti, un’ipotesi insidiosa per più motivi. Ci si immagini, intanto, un incidente come quello di domenica, con un transatlantico fuori controllo nei canali industriali, tra petroliere, navi commerciali, portacontainer, con rive affollate di lavoratori e mezzi, a ridosso di impianti e depositi di sostanze infiammabili, pericolose, e con migliaia di passeggeri a bordo. Oltre tutto, l’estensione della monocultura turistica alla zona industriale significherebbe procedere ulteriormente in quella direzione stravolgente, sottraendo spazi all’industria e al terziario moderno, e infatti è una proposta contestata dai sindacati. Ma la questione di fondo è, infine, quella dello scavo dei canali, cioè dell’acuirsi del dissesto idrogeologico, che già le manomissioni dell’ultimo secolo hanno portato a un punto critico e che il surriscaldamento del clima esaspera ancora, con l’aumento del livello medio del mare. Per capire a quale drammatica soglia critica si sia giunti si veda l’ultimo lavoro del prof. Luigi D’Alpaos, uno dei maggiori conoscitori della laguna e fra le massime autorità in ingegneria idraulica, «S.O.S. Laguna», per le benemerite edizioni Mare di Carta. Si capirà perché la sola vera soluzione per le grandi navi sta, appunto, fuori del «contesto lagunare». I progetti non mancano, deve però scendere in campo, anzi in acqua, la volontà politica.
Tratto da Il Manifesto