A fine marzo, se la data non verrà spostata per il coronavirus, gli italiani saranno chiamati a votare in un Referendum. Dovranno esprimersi con un Sì o con un No nei confronti della riforma costituzionale che prevede il taglio del numero dei parlamentari alla Camera e al Senato. Non è previsto un quorum perché il Referendum sia valido e, quindi, conterà ogni voto.
La maggiore argomentazione fornita dai promotori della Riforma è stata quella di un risparmio di spesa. Indubbiamente un risparmio c’è ma, da esperti del settore come Cottarelli, il risparmio è stato quantificato nello 0,0007% del PIL. Un risultato abbastanza modesto se lo confrontiamo con quello che ha già fatto perdere all’Italia la emergenza legata al coronavirus.
La politica, la democrazia parlamentare rappresentativa di stampo liberale che è prevista dalla nostra Carta costituzionale ha, ovviamente, un costo. Si tratta di valutare, serenamente, se questo “prezzo” vale “la candela” di quello che si ottiene in cambio. Ognuno nella cabina elettorale farà le proprie valutazioni.
Quello che qui vorrei far notare, e che è un aspetto che può sfuggire ai più giovani, è che i tentativi di riformare la Costituzione per trasformare il nostro Parlamento in un organo più “efficiente”, sono in corso ormai da più di 25 anni. Nel tempo, e mi scusi il lettore se vado un po’ a memoria, ci hanno provato le commissioni Bozzi, De Mita, D’Alema e poi i governi Berlusconi e, per ultimo, Renzi.
Da dove viene così tanta voglia di ridurre il numero, si badi bene non lo stipendio, dei Parlamentari?
A mio modesto parere la motivazione principale risiede nel non solo “percepito”, ma proprio nel “dimostrato” elevato tasso di corruzione, clientelismo e nepotismo in cui è caduta la nostra democrazia. La degenerazione dei partiti in comitati elettorali ha fatto perdere ogni fiducia nelle istituzioni in generale e nel Parlamento in particolare.
Se è vero “che tutti sono là per non fare niente”, effettivamente se invece di 630 diventano 400 è lo stesso. Anzi, se diventassero anche 200 si risparmierebbe ancora di più. Oppure, come si sono lasciati sfuggire Grillo e Casaleggio, se abolissimo il Parlamento del tutto, quanto risparmieremmo?
Il combinato disposto di riduzione del numero dei parlamentari, leggi elettorali con soglie di sbarramento e premi di maggioranza, determina il passaggio da una democrazia rappresentativa a una “delegante”, che in ultima analisi è quella che la grande massa della gente è stata indotta a desiderare dalla cosiddetta “partitocrazia” e dalla pigrizia mentale che alberga in ognuno di noi.
Il singolo Deputato, nominato dai capi partito e non più scelto dal popolo, cessa di essere un “rappresentante” di qualcuno o qualcosa e diventa, invece, un semplice “delegato”.
Il popolo viene chiamato a votare, mette una croce su qualcosa che può trovare sulla scheda e delega: “fai tu e fai bene. Io non voglio rogne, sei pagato per risolverle tu, politico!”.
Ecco avvenuta la tanto agognata trasformazione.
La libertà è partecipazione, cantava in una nota canzone l’indimenticabile Giorgio Gaber (che aveva ripreso una celebre frase di Cicerone), ma con la democrazia “delegata”, la partecipazione scompare o si attenua di molto e la stessa sorte, conseguentemente, fa la libertà.
E se invece di perdere tanto tempo a discutere in una Assemblea di 400 persone dessimo la delega a una sola persona? Un Presidente illuminato come Putin, Erdogan, Trump, Macron, De Gaulle, Mussolini, Luigi Napoleone?
La voglia di un Cesare che ci risolve d’autorità tutti i nostri problemi è come un fiume carsico che ogni tanto riaffiora. Da quando esiste, la democrazia ha sempre avuto come possibile esito della sua degenerazione l’avvento di una qualche forma di cesarismo o potere dispotico eletto dal popolo.
Solo fra 20 o 30 anni sapremo se gli anni venti del XXI secolo saranno ricordati come il ritorno in Italia degli anni venti del secolo precedente. Io spero di NO.
Francesco Gennaro