«No Grandi Navi», vinta una battaglia se ne apre un’altra

Venezia. Non far entrare le navi oltre 40mila tonnellate di stazza è una scelta ragionevole, che sarebbe potuta arrivare anche prima se la potente lobby che punta a tenere a tutti i costi le navi in laguna non avesse fatto perdere un sacco di tempo inseguendo proposte sbagliate. Ma la battaglia non è finita

di Gianfranco Bettin – La notizia è di quelle attese da anni: il governo ha deciso che le navi di oltre 40 mila tonnellate di stazza non potranno più entrare in laguna e, altra buona notizia, ciò riguarda anche le «navi portacontenitori adibite a trasporti transoceanici». Sembra, così, vinta la storica battaglia ambientalista, in primis del Comitato No grandi navi (peraltro ora sanzionato per le proteste sull’acqua dalla Capitaneria con multe salate che pagherà grazie a una sottoscrizione di massa).

È una scelta ragionevole, che sarebbe potuta arrivare anche prima se la potente lobby che punta a tenere a tutti i costi le navi in laguna non avesse fatto perdere un sacco di tempo inseguendo proposte sbagliate: prima il canale Contorta e poi il canale Vittorio Emanuele per portare tutte le navi alla Marittima, sia pure evitando san Marco, e infine, ipotesi ancora in agguato, quella di suddividere le navi tra stazze minori alla Marittima e maggiori a Marghera, tenendole però entrambe in laguna, progetto caro al sindaco Brugnaro e a Zaia. Proposte che hanno fatto perdere anni e correre gravi rischi alla città.

Ora siamo alla svolta? Forse, con alcuni dubbi. Il DPR stabilisce che l’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Settentrionale, entro sessanta giorni, proceda a un concorso (finanziato con 2, 2 milioni) per proposte e progetti per «punti di attracco fuori dalle acque protette della laguna».

Le idee principali, a oggi, riguardano avamporti alla bocca di Lido – Punta Sabbioni o presso il cantiere del Mose vicino a Pellestrina, o un porto off-shore (se ne è discusso finora soprattutto per le grandi portacontainer), in connessione col sistema portuale alto Adriatico. Nel frattempo, secondo quanto disposto il 21 dicembre 2020 dal Comitatone (il consesso tra ministeri e enti locali previsto dalla Legge speciale per Venezia) le grandi navi, entrando da Malamocco (invece che dal Lido) e seguendo il «canale dei petroli», dovranno attraccare alle banchine nord di Marghera (da adeguare con opere finanziate con 41 milioni di euro).

Dov’è il rischio? Nel fatto che ciò avrebbe senso solo per tempi brevissimi e invece si prospetta una fase di anni, rischiosa perché: 1) mantiene in laguna le grandi navi con il loro pesante impatto (su moto ondoso, morfologia, idrodinamica, con scavo di canali, emissioni ecc.); 2) le fa approdare tra impianti complessi e pericolosi, in commistione con il traffico commerciale e industriale (proprio l’altro giorno c’è stato un incidente tra una portarinfuse e un cargo); 3) entra in concorrenza con il porto attuale, poiché le navi passeggeri hanno la precedenza e ciò penalizzerà quelle commerciali e industriali, già colpite dal Mose che, se attivo, ne impedisce il passaggio); 4) se diventasse definitiva o durasse a lungo, questa dislocazione fisserebbe un nuovo potente motore della monocultura turistica, che da tempo stravolge il tessuto economico e sociale della città, proprio nel luogo che finora le fa da contrappeso con le attività industriali, logistiche, commerciali.

È ciò a cui punta da sempre il fronte pro grandi navi (e della speculazione turistica e immobiliare), che oggi ammicca, nascondendo la possibile sconfitta strategica ma certo confida nei tempi lunghi, in eventuali altre stagioni politiche, puntando a far diventare definitivo il provvisorio (e il danno alla città e all’ecosistema). La mobilitazione, l’attenzione pubblica, devono dunque proseguire ancora a lungo.

Tratto da Il Manifesto

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