di Gianfranco Bettin – Le considerazioni che il prof. D’Alpaos, uno dei principali e più profondi conoscitori della laguna, svolge in questa intervista ad Alberto VITUCCI sulla NUOVA Venezia di venerdì 12 gennaio, sull’impatto del MOSE sull’ecosistema e sull’economia portuale (quindi sull’intera città), confermano le critiche che storicamente sono state rivolte al modello, sia nella fase progettuale sia in quella operativa.
Nessuno ha mai pensato che il meccanismo basico che lo muove (il “principio di Archimede”) non potesse funzionare, tanto più spendendovi sopra miliardi di euro, ma sempre si è obiettato che non avrebbe davvero risolto il problema strategico di tutelare Venezia, la laguna e il porto, nell’epoca del riscaldamento globale, quindi dell’aumento progressivo del livello del mare e della frequenza e portata delle maree alte e medio alte, non solo di quelle eccezionali (pure in drammatico aumento).
Chi ha pensato e progettato il MOSE lo ha concepito come un dispositivo da azionare una manciata di volte l’anno e lo ha fatto perché ha clamorosamente sottostimato l’effetto dei mutamenti climatici, quindi non preoccupandosi troppo dell’impatto delle chiusure, invece sempre più numerose, sull’equilibrio tra mare e laguna e sulla funzionalità del porto.
È avendo ben chiare queste cruciali questioni che settori importanti del mondo scientifico – che il prof. D’Alpaos rappresenta al meglio –, l’ambientalismo più consapevole, lo stesso Comune di Venezia, avevano tempestivamente proposto diverse alternative al MOSE. Ignorate, però, con forzature politiche drastiche volte a imporre la sola soluzione presa davvero in considerazione fin dall’inizio dal blocco politico ed economico-finanziario che ha voluto il MOSE, opera costosissima (da realizzare, manutenere e far funzionare), con una governance fuori controllo (che infatti ha prodotto la nota e vasta ragnatela corruttiva), farraginosa e complicata da realizzare (e infatti si sono persi decenni) e che infine, appunto, non risolverà strategicamente la questione. Venezia sarebbe stata al sicuro dalle maree molto tempo prima del 2020 se si fossero scelte altre strade.
Oggi, ormai, nella cosiddetta “era del MOSE”, bisogna adeguare la salvaguardia alle nuove condizioni locali e globali, come indica lo stesso D’Alpaos: realizzare le opere complementari, i rialzi delle rive, le difese locali, monitorare l’erosione prodotta dalle correnti indotte dal MOSE in azione (specie quando se ne apre solo una parte), progettare il porto off-shore, sola vera soluzione per tutelare le attività portuali. E smetterla di riproporre tronfiamente il pensiero unico filo MOSE che ha regalato alla città decenni di acque alte, costi stratosferici, prepotenza e corruzione, nessuna vera soluzione strategica.
Usiamo questi anni per una vera risposta sistemica, davvero utile all’ecosistema, all’economia e alla città.