di MARCO BOATO
“Un partito/movimento verde anche in Italia?”: con questo titolo il 18-19 dicembre 1982 (esattamente 31 anni fa!) si tenne nella grande sala della Regione a Trento il primo convegno internazionale per promuovere la formazione di una forza politica ecologista anche nel nostro paese. Pochi anni prima, nel 1980, in Germania si erano presentati per la prima volta alle elezioni politiche i “Grünen”, che in quella prova non superarono la soglia del 5%, mentre poi diventarono rapidamente una delle principali forze politiche tedesche, anche con funzioni di governo a livello federale e in vari “Länder”, oltre che in molte città.
Il convegno di Trento era stato promosso dall’allora “Nuova sinistra” del Trentino, in collaborazione con la “Neue Linke-Nuova sinistra” del Sudtirolo, che aveva come principale leader Alexander Langer. Parteciparono vari “Grüne” tedeschi e austriaci e molti esponenti ambientalisti e politici di tutta Italia, ma anche sociologi e politologi (tra cui Gianni Baget Bozzo, Sergio Fabbrini, Alberto Tarozzi e Anton Pelinka). Fu un dibattito plurilingue durato due giorni e poi pubblicato in un volume da me curato, sotto il titolo: “Conservare l’ambiente, cambiare la politica. La ‘questione verde’”. Da lì partì il lungo percorso che diede vita alle prime “Liste verdi”, alla iniziale nascita dell’”Arcipelago verde” e quindi della “Federazione delle liste verdi”, fondata ufficialmente nel 1986, alla vigilia del primo ingresso nel Parlamento italiano nelle elezioni politiche del 1987. I Verdi italiani furono in primi in Europa ad assumere anche responsabilità di governo, con l’Ulivo di Romano Prodi nel 1996 (ministro dell’Ambiente Edo Ronchi) e poi con Massimo D’Alema e Giuliano Amato fino al 2001, ritornando poi al governo con l’Unione di Prodi nel 2006-08.
Molte leggi approvate in quegli anni videro i Verdi promotori e relatori: dalla prima legge sui Parchi nazionali alla legge sulla difesa del suolo, dalla legge sulla protezione della fauna e la regolazione della caccia alle prime leggi sul risparmio energetico, oltre al ruolo di primo piano avuto nei primi tre referendum sul nucleare del 1987, dopo la catastrofe di Cernobyl. E dal 1989 al 2009, per vent’anni i Verdi italiani sono stati anche rappresentati nel Parlamento europeo, dove oggi il Partito verde europeo è la quarta forza politica. Ma dal 2008 i Verdi italiani non sono più rientrati nel Parlamento italiano e l’anno successivo neppure nel Parlamento europeo (a causa della soglia di sbarramento del 4% introdotta all’ultimo momento da un accordo “ad excludendum” tra Berlusconi, presidente del Consiglio in carica, e Veltroni, primo segretario del nuovo Partito democratico).
Ha dunque fatto bene Simone Casalini – sul “Corriere del Trentino” dell’11 dicembre – a dedicare un editoriale (“Ambientalismo, un’incognita. Fuori dal Palazzo”) di analisi critica su tutta questa vicenda, che riguarda in generale l’ambientalismo italiano e trentino e i Verdi, sia italiani che trentini, invitando esplicitamente a “sviluppare un’ampia riflessione pubblica”. Del resto, è una riflessione che i Verdi stessi stanno conducendo da alcuni anni, avendo dato vita alla “Costituente ecologista”, proprio per superare la fase critica attuale e per rilanciare un progetto ecologista e civico più ampio e più strettamente legato alla dimensione dei Verdi europei. È per questo, del resto, che nelle ultime elezioni provinciali del Trentino è stata presentata la lista “Ecologisti e civici – Verdi europei”, che tuttavia non è riuscita a raggiungere il quorum necessario per l’ingresso in Consiglio, pur con un ampio rinnovamento e allargamento di candidature e con un grande sforzo di elaborazione programmatica. Ed è per questo che a livello nazionale, nel recente Congresso di Chianciano (23-24 novembre), è stata decisa una nuova alleanza tra i Verdi e la neonata formazione “Green Italia”, che raccoglie trasversalmente molti esponenti dell’ambientalismo, che non hanno trovato spazio nei partiti politici tradizionali.
Non è vero, infatti, che le tematiche ambientaliste ed ecologiste siano state “assorbite” dai partiti preesistenti, se non a parole e magari con l’aggiunta di un capitoletto “ambiente” ai programmi tradizionali. Per affermare il valore dell’acqua come bene comune è stato necessario un referendum che abrogasse le norme legislative approvate dal Parlamento. Per fermare il possibile ritorno al nucleare, già deciso a livello governativo, è stato necessario un nuovo referendum, dopo la catastrofe di Fukushima in Giappone. Gli incentivi sulla “green economy”, introdotti sotto la spinta dei Verdi, sono ora stati drasticamente ridotti, creando una grave crisi in questo settore produttivo che era all’avanguardia. Sistematicamente si cerca di affossare il ruolo dei Parchi nazionali (e non solo), che sotto l’impulso dei Verdi avevano avuto un enorme sviluppo. Ricorrenti sono i tentativi parlamentari di ridimensionare la portata della legge di tutela della fauna, che i Verdi avevano introdotto nella loro prima legislatura. La situazione dell’assetto idro-geologico del nostro territorio è sempre più drammatica e catastrofica, non avendo dato piena attuazione alla legge sulla difesa del suolo, che i Verdi avevano promosso. Il ministero dell’Ambiente, da quando i Verdi non sono più in Parlamento, ha visto drasticamente ridotte le sue risorse, che erano già scarse e spesso residuali. L’Italia è drammaticamente indietro nelle misure decise a livello europeo per contenere i cambiamenti climatici, sui quali i Verdi avevano attirato l’attenzione fin da vent’anni fa, quando ancora nessuno ne parlava sul piano politico. Sono stati i Verdi a promuovere la prima legge sui rifiuti, che ancora oggi costituiscono una gravissima emergenza in gran parte dell’Italia (specialmente nel Sud, ma non solo).
Dunque, è vero che c’è una grave crisi dei Verdi e dell’intero movimento ambientalista, che spesso sottovaluta l’importanza di una forte presenza ecologista non solo a livello associativo, ma anche nel cuore delle istituzioni politiche, nazionali e locali (ne è anche un esempio la parte finale dell’intervista a Toffolon di Italia Nostra sul “Corriere del Trentino” dell’11 dicembre). Ma purtroppo non è vero (magari lo fosse!) che il venir meno di una forte presenza nelle istituzioni rappresentative e di governo dei Verdi possa essere surrogata dall’azione di altre forze politiche, che mai mettono al primo posto la finalità di quella “conversione ecologica” dei modi di produrre e degli stili di vita, che Alexander Langer aveva predicato invano a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, fino alla sua morte nel 1995.
In realtà, c’è un problema più generale, che riguarda l’opinione pubblica italiana ed europea. Mentre nel centro-nord Europa i Verdi ottengono risultati notevoli (spesso sono la quarta o quinta forza politica nei loro Parlamenti), la crisi di rappresentanza ecologista riguarda quasi tutti i paesi dell’Europa meridionale e mediterranea: Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, soprattutto. Questo non toglie nulla alla necessità di una riflessione critica ed anche autocritica, ma esige inoltre la consapevolezza di una arretratezza socio-culturale più generale, nei paesi mediterranei, dove, anche a causa della crisi economico-finanziaria più grave, la questione ecologica perde la sua priorità sia nell’azione dei governi, sia nella responsabilità delle forze politiche, sia anche nella coscienza dell’opinione pubblica. Per questo ha fatto bene Simone Casalini ad avviare una analisi problematica di ampio respiro, perché il venir meno degli ecologisti dalle istituzioni rappresentative non comporti anche il venir meno della responsabilità ecologica rispetto al presente e alle future generazioni. “La Terra ci è data in prestito dai nostri figli”: un monito ecologista che resta tuttora valido e che ci chiama direttamente in causa.